Cento anni fa, il 5 luglio 1925, nasceva a Lavello una figura che avrebbe lasciato un segno indelebile nella storia sociale e religiosa italiana: Don Marco Bisceglia. Un sacerdote atipico, un “prete di strada” come amava definirsi, la cui vita fu un inno alla libertà, all’inclusione e a una Chiesa vicina ai bisogni reali del popolo.

Don Marco fece ritorno a Lavello nel 1963, quando fu nominato parroco del Sacro Cuore. La sua impronta rivoluzionaria si manifestò fin da subito: sulla facciata della chiesa fece scrivere un messaggio chiaro e potente: “La chiesa è del popolo”. Una dichiarazione d’intenti che riassumeva la sua visione di una Chiesa non arroccata nel dogma, ma aperta, accogliente e, soprattutto, al servizio degli ultimi. Era profondamente convinto che la Chiesa cattolica avesse smarrito gli insegnamenti più autentici di Gesù, primo fra tutti il comandamento dell’amore reciproco.
Un sacerdote in prima linea
La vita di Don Marco fu una battaglia continua per i diritti civili. Fu sempre in prima linea, senza paura di schierarsi, anche quando ciò significava sfidare le convenzioni e le gerarchie ecclesiastiche. Lo si vide nelle battaglie contro il concordato, così come nei comitati per il referendum sul divorzio e sull’aborto, mettendo a disposizione le sale della sua parrocchia come luogo di incontro e confronto.

Prendendo alla lettera l’affermazione evangelica “Gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”, Don Marco si schierò apertamente con i più deboli, animando proteste e scioperi. Questa sua vicinanza agli ultimi gli valse l’amore incondizionato del popolo, ma anche l’acceso detestato dei “primi”, ovvero le gerarchie ecclesiastiche. Nacquero ben presto forti contrasti con il vescovo della sua diocesi, culminati in quello che sarebbe passato alla storia come lo “scandalo” del 1975.
Il raggiro, la sospensione e la ribalta nazionale
L’11 maggio 1975, il settimanale Il Borghese pubblicò una notizia che fece scalpore: “prime nozze fra omosessuali in Italia”. Il sottotitolo recitava: “Due redattori del Borghese si fingono omosessuali e vengono benedetti dal don Mazzi del Sud“. In realtà, Don Marco fu vittima di un raggiro. I due presunti innamorati, Franco Jappelli e Bartolomeo Baldi, erano giornalisti del settimanale di destra, giunti in Basilicata con l’intento preciso di incastrare il “prete comunista”.

Nel loro reportaggio, Baldi e Jappelli ammisero di aver indossato “i panni francamente ripugnanti di due omosessuali” dopo aver letto un articolo di Don Bisceglia su Notizie Radicali. La reazione di Don Marco fu inequivocabile e profetica: “Il vostro matrimonio è già un sacramento davanti a Dio”. Questo episodio, e gli scontri continui con i vescovi per le sue iniziative considerate rivoluzionarie, nonché il dispiego di interi plotoni di carabinieri e poliziotti per allontanarlo dalla parrocchia del Sacro Cuore, lo lanciarono alla ribalta nelle più spietate cronache nazionali. Questa affermazione gli costò la sospensione a divinis dalla Chiesa Cattolica, con il divieto di ogni atto di sacro ministero.


Da Giarre ad Arcigay: la nascita di un movimento e la nuova vita
Gli anni successivi non modificarono la sua tempra. Il tragico episodio di Giarre nel 1980 – la scomparsa e il ritrovamento dei corpi di Antonio Galatola e Giorgio Agatino Giammona, trovati morti mano nella mano, con un biglietto in cui confessavano il loro suicidio a causa di un amore non tollerato – scosse l’Italia e colpì profondamente Don Marco.

Nel frattempo, il suo tragitto politico al fianco di Marco Pannella, il suo coming out e il trasferimento a Roma segnarono l’approdo a una nuova vita. Candidatosi l’anno prima tra le fila dei Radicali su richiesta di Pannella – “Se si vuole essere liberi bisogna necessariamente essere eretici. Personalmente non posso non essere uno di loro” – il suo impegno per i diritti civili non venne meno.
Il presidente dell’Arci, Enrico Menduni, gli propose una collaborazione. Don Bisceglia acconsentì, ma a una condizione: “occupiamoci di omosessuali”. Non doveva più accadere ciò che era successo a Giarre. E così, il 9 dicembre 1980, a Palermo, con l’aiuto del giovane obiettore di coscienza Nichi Vendola, diede vita al primo circolo ArciGay: un evento che precedette di cinque anni la fondazione ufficiale dell’associazione che oggi conosciamo. Perché, come aveva ricordato in un articolo sul Corriere della Sera il 17 maggio 1975, l’inferno non è destinato agli omosessuali, ma “a chi li emargina, li insulta, li deride, li spinge alla disperazione e al suicidio”.
Un’unica vita all’insegna della libertà
A pochi anni dalla nascita del primo nucleo della più importante associazione del Paese a tutela dei diritti degli omosessuali, calò il sipario sul palcoscenico pubblico e Bisceglia rientrò in seno alla Chiesa. Di Don Marco, dopo la fondazione di Arcigay nazionale, si sa meno: si scoprì malato di AIDS, si riavvicinò alla Chiesa che lo riaccolse, e si dedicò agli altri fino alla sua morte, avvenuta il 22 luglio 2001, mentre i riflettori erano puntati sulle tragedie di Genova.
Negli articoli e nei libri a lui dedicati (come il quasi introvabile “Troppo amore ti ucciderà”, di Rocco Pezzano), si racconta che abbia vissuto “tre vite”. Ma, a ben vedere, la sua è stata una sola, coerente esistenza, interamente votata alla libertà di essere se stesso.

È forse questo l’insegnamento più grande che ci ha lasciato Don Marco Bisceglia, un pioniere:
- Pioniere del movimento per i diritti LGBT, tra i primi a riconoscere la necessità di punti di riferimento per una comunità non ancora nata.
- Pioniere della parte più progressista della Chiesa, riecheggiata anni dopo in quel “Chi sono io per giudicare?” pronunciato da Papa Francesco.
- Pioniere nell’affermare che l’amore è amore, in tutte le sue forme e manifestazioni.
A cent’anni dalla sua nascita, la sua figura rimane un faro per chi crede in una società più giusta e inclusiva.